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Castello Aragonese d'Ischia

14 settembre / 10 novembre 2019

Bruny Sartori. Salvati senza nome

Il linguaggio dei corpi

Il corpo. Il corpo gioca un ruolo centrale nell’opera di Bruny Sartori. Il corpo organico, sinuoso, il corpo cristallino, il corpo stratificato, il corpo compresso, il corpo interiore, il corpo esteriore, il corpo biologico, astratto, simbolico, la sua origine, le sue tracce, il suo movimento e la sua mutevolezza: questi aspetti caratterizzano in modo fondamentale l’opera di Sartori.

 

Non si tratta tanto della riproduzione del fisico umano, quanto piuttosto di una penetrazione, di una riflessione artistica dell’idea della corporalità in generale come strumento di una quasi dolorosa coscienza del divenire e del trascorrere del tempo, dell’apparire e dello svanire, degli spazi misteriosi dell’essere. Perché le creazioni di Sartori leggere, innocue e frivole di certo non lo sono. Tendono invece all’invadenza, alla massa, al peso e a una dinamica intrinseca. Testimoniano la forza e lo sforzo, come fossero emerse dalle profondità del globo, come se appunto vi fossero profondamente radicate. Di fatto è proprio dalla terra che traggono origine i lavori in ceramica, e anche quelli di Sartori. Dalla ceramica proviene l’artista, dalla cultura tradizionale dell’arte vasaria veneta. Affrancato e arricchito dall’ispirazione letteraria e dalla profonda passione per la musica e la poesia, Sartori si è indirizzato verso la scultura fin da giovane. Parallelamente si interessa ai procedimenti grafici, che si manifestano in diverse incisioni, sostenendo la scultura su un altro livello e mantenendola sospesa. In corrispondenza nascono inoltre le cosiddette formelle, che con la loro conformazione granulosa rimandano al fenomeno eruttivo e rivelano la stessa mano che plasma le opere più voluminose. Tutte queste forme espressive di Sartori hanno in comune l’allusione a energie nascoste, la presenza - suggerita inconsciamente - del corpo che, con le sue misteriose escrescenze, i suoi contorcimenti e avvitamenti, sfiora una delicata facciata. Sartori non vuole tuttavia una banale incarnazione, nelle sue opere sboccia invece un linguaggio autonomo per la poesia sovversiva e la sottile infaticabilità del processo creativo, per la sua legittimità e potenza interiore. Un impulso che si apre la strada da un’immaginaria sorgente primaria, che cerca alleati nella materia e nell’iniziativa artistica, per uscire allo scoperto o tendersi come una pelle sul quadrato delle tavole. 

 

Tutto è intrecciato nella creazione di Sartori e da ogni singola opera si ricavano molteplici collegamenti con le altre. I gesti grafici contengono oggetti sia piani che plastici. Ad esempio “Semi”, un ciclo che va dal 2007 al 2011 o “Underskin”, la composizione di 60 formelle del 2011, ma soprattutto i “Teleri” degli ultimi anni. È così che l’artista definisce i suoi montaggi, composti da una rete scintillante di piccoli ritagli, miniature geometriche di radiografie - tanto distanti dalla ceramica classica, eppure riferiti al corpo, all’esistenza corporale.

 

Smembrati, estraniati, anonimizzati e criptati, intessutisi in un fitto tappeto, questi elementi si integrano formando monumentali composizioni, che narrano una storia di fragilità, di distruzione, di sofferenza e guarigione. Con il titolo “Salvati Senza Nome” Sartori associa - come l’installazione in tre parti richiama alla nostra attenzione - la memoria delle innumerevoli vittime dell’olocausto nazista, creando nel contempo un’immagine drammatica di declino e annientamento. I pensieri, i ricordi restano frammentari, scene e documenti di un grande insieme di distruzione.

 

“Quali radici si afferrano, quali rami crescono

Su queste rovine di pietra? Figlio dell’uomo

Tu non lo puoi dire, né immaginare

Perché conosci soltanto

Un cumulo di frante immagini, là dove batte il sole.”

(T.S. Eliot)

 

La rottura, l’esplosione, se vogliamo, la riduzione in macerie del corpus in senso lato, dell’insieme si contrappongono al fenomeno compatto, massiccio, chiuso e organico delle opere. Sono la testimonianza per eccellenza della bipolarità insita nella struttura estetica, del pensiero metaforico quale conoscenza sensuale, analogica che si accompagna alla profondità dell’arte. Sartori, esorcizzando ed esplicitando questa duplicità tra “senso e materialità” , tocca punti di congiunzione fondamentali. La fisicità, come espressione di unità e rottura, gioca un ruolo significativo in questo ambito. 

 

“L’arte si muove nel punto di intersezione tra sensualità e spiritualità, tra emozione e ragione, tra conscio e inconscio, tra dicibile e indicibile, tra concepibile e inconcepibile - e appunto tra simbolico e fenomenico.” 

 

Anche le opere di Sartori si potrebbero interpretare in questo senso. Le sue creature amorfe e metamorfe schiudono dimensioni a livello di pensiero, esperienza e osservazione, che nella loro ambiguità e ambivalenza rispecchiano tutti i suoi vincoli creativi. Prendono parte alla memoria culturale e conferiscono tangibilità alle sue ramificazioni. E Sartori - più di molti suoi contemporanei - resta incatenato a un “concetto di corpo”  insito nel suo genere e ci salva dalle numerose tendenze all’astrazione prive di sostanza. Nelle sue figure possiamo sia leggere le tracce di una trasformazione plastica - di fronte a tutto ciò che la storia ha da offrire - sia entrare e scoprire il singolare palcoscenico di un “Teatrum Mundi” secondo Sartori.

 

Ellen Maurer

 

(Foto: © Marco Albanelli - Amici di Gabriele Mattera)